Mirco Ballabene Oltranza Oltraggio – con Stefano Battaglia e Massimiliano Furia – un omaggio alla poesia di Andrea Zanzotto

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L’idea di creare musica indagando la poesia di Andrea Zanzotto nasce dal rapporto che il poeta veneto, uno dei massimi del Secondo Novecento, d’Italia e non solo, costruisce con la lingua. Un rapporto, questo, che si configura come un vero e proprio scandaglio in profondità, laddove la luce muore, ma creature ai più sconosciute conducono la loro esistenza inosservate eppur presenti.

Zanzotto, nella sua inesausta esplorazione che lo accompagnerà per tutta la sua vicenda umana e letteraria, non risparmia energie e non cede al compromesso di una pacificazione di comodo in cui potersi beare dei propri risultati, ma forza la lingua a tal punto da sfiorare il suo stesso annullamento. Perché Zanzotto è consapevole del trauma in cui l’uomo si dibatte, della sua “eterna riabilitazione”1 che mai potrà giungere alla sanità, e fa della lingua il fulcro di questo trauma, perché è nella lingua che, lacaniamente, l’essere umano esprime la propria malattia esistenziale, la propria incapacità di avere un rapporto con la Realtà assoluto e totale, senza mediazioni, vero, perché “l’esperienza del mondo – come insegna Lacan – si effettua all’interno dell’istituto della lingua”2 e, in quanto istituto, la lingua è soggetta a convenzioni e usi che l’hanno allontanata nel corso dei millenni e dei secoli da quel significato primigenio delle cose ormai inafferrabile.

Ed è su questa consapevolezza del trauma che la lingua esprime, nel fatto stesso di esistere come esiste, che Zanzotto fonda la sua poesia, una poesia che, preso atto della distanza che il significato e il significante interpongono fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e mondo, tenta la rifondazione di un linguaggio che possa verbalizzare l’essere senza perderne l’essenza. Di qui la sperimentazione a tratti estrema a cui il poeta sottopone la lingua, arrivando a forzarne le più piccole unità e particelle, agendo dal piano sintattico a quello morfologico senza risparmiare i singoli fonemi.

Ma la musica? Se la poesia di Zanzotto, come si è detto, si svolge nel tentativo di rifondare un linguaggio che annulli la distanza fra l’essere umano e l’essere di per sé, quale linguaggio più della musica – e in particolare della musica che qui si propone, una musica cioè che non si riferisca a un particolare genere, ma che cerca di utilizzare tutti i suoi mezzi nel tentativo di aprire nuove strade all’espressione – riesce ad avere un rapporto più diretto con la persona, annullando quasi completamente il significato e ponendosi esclusivamente come puro suono?

Ecco, dunque, la suggestione su cui ho basato questo progetto, e cioè il fatto che il significante linguistico, in quanto vera e propria musica, perché suono organizzato, possa costruire un nuovo significato che prescinda da quello che la cultura nel corso dei secoli gli ha imposto, il fatto, insomma, che il significante diventi esso stesso nuovo significato. Dalla preminenza del significante nella poesia di Zanzotto, o comunque da questa ricerca di un significato primigenio attraverso il lavoro sul significante, alla musica, quindi, il passo è breve, in quanto anche la musica, ribadisco, di per se stessa si pone come significante che esprime un significato non verbalizzato e lo esprime in maniera per così dire diretta, anche se le mediazioni culturali persistono, come è inevitabile che sia, ciò valendo anche per la poesia del Nostro, ovviamente.

Dunque il passaggio tra la lingua e la musica deve prendere l’abbrivio dall’analisi dei versi, delle parole, dei singoli fonemi i quali, grazie alle loro inaspettate corrispondenze, compongono quel canto del trauma che l’uomo vive nel suo rapporto con sé e con tutto ciò che è al di fuori di sé; deve prendere l’abbrivio, insomma, da quel significante così ricco di suoni e suggestioni.

Ovviamente, essendo la produzione del poeta veneto molto ricca, occorreva restringere il campo, così si è deciso di soffermare l’attenzione sulla celeberrima raccolta La beltà, facendosi ispirare dalle riflessioni del più grande interprete zanzottiano, Stefano Agosti. Il critico considera infatti la raccolta una tappa fondamentale nel percorso di Zanzotto, in quanto in essa il poeta condurrebbe la propria sperimentazione ai limiti della lingua, toccando il punto più basso, cioè più profondo3, della sua esplorazione per poi inevitabilmente risalire, perché è evidente che anche la poesia di Zanzotto fonda il suo statuto, come gran parte della poesia del Novecento, su una tensione mai rilasciata verso un Altrove mai raggiunto, perché impossibile da raggiungere.

Agosti individua nella raccolta un percorso che conduce Zanzotto dalla lingua alla sua abolizione4 per, inevitabilmente, farvi ritorno. Seguendo questa suggestione sono stati scelti i componimenti poetici che hanno dato corpo alla musica.

Il primo è “La perfezione della neve”, testo in cui il poeta dichiara il suo desiderio di silenzio e purezza assoluti, di totalità, di “una realtà riportata a una condizione essenziale di “bianco”, di vuoto e di immobilità”5.

Il secondo è il testo di apertura della sezione intitolata “Possibili prefazi o riprese o conclusioni”, in cui Zanzotto “procede a una sorta di verifica-contestazione del già fatto”6 riconducendo quel desiderio di purezza assoluta, che trovavamo già nella “Perfezione della neve”, al sé (Vorrei preludere ad una vera-mente / a una vera-vita).

Il terzo è “Al Mondo”, in cui il desiderio di “vera-vita” che caratterizza il componimento di “Possibili prefazi o riprese o conclusioni” si estende alla realtà esterna, all’intero mondo appunto, il quale viene esortato a porsi come ente.

Il quarto è il testo in cui Zanzotto tocca il punto più profondo della sua sperimentazione volta alla fondazione di un nuovo linguaggio, “L’elegìa in petél”, dove egli mette in atto la disgregazione dell’istituto linguistico risalendo al momento dell’infanzia in cui la lingua si forma e tenta le strade per significare la realtà che la circonda.

Giunti a questo punto Zanzotto deve persistere nel proprio sforzo di annullamento della lingua per una sua rinascita, quindi si scontra con una realtà che al contrario “esperimenta la propria consistenza oggettiva in quanto lingua, concrezione verbale”7 e questo scontro viene messo in versi nella sezione intitolata “Profezie o memorie o giornali murali”, di cui è stato scelto il primo componimento.

Ma la battaglia, inevitabilmente, non può essere che persa e la poesia “E LA MADRE-NORMA”, fin dal titolo, dice del ritorno del poeta al punto di partenza, a quella norma linguistica, cioè, da cui è impossibile prescindere, come una madre appunto, perché “se la parola infrange l’istituto essa non fa che confermarlo”8. Va detto, però, che il tentativo non è stato del tutto vano, perché lo scandaglio nelle profondità della lingua di cui si diceva all’inizio, oltre ad aver prodotto una delle poesie più importanti del Novecento, ma che, indubitalmente, interroga anche il secolo presente, segna una tappa fondamentale nel percorso di Zanzotto e, più in generale, nella sperimentazione linguistica in versi, una tappa di cui non sarà più possibile non tener conto.

Ma per tornare alla musica, come si è proceduto alla composizione dei brani, una volta compiuta l’analisi testuale dei singoli componimenti? Se una lettera ha una posizione nell’alfabeto che possiamo fare corrispondere a un numero, questo numero possiamo farlo corrispondere a una nota ed ecco che dalle parole diventa facile ricavare sequenze di note che possono essere intese come serie o come concrezioni melodiche o armoniche su cui improvvisare, perché va detto che il progetto è fondato sulle pratiche improvvisative che, tornate in auge nel secolo scorso grazie alla diffusione del jazz, hanno esteso il loro campo di ricerca varcando i limiti dei generi musicali e rivendicando una libertà creativa precedentemente sconosciuta alla cultura musicale occidentale.

Così la catena allitterativa presente in “La perfezione della neve”: “E poi astrazioni astrificazioni formulazione d’astri”, diventa la serie C# G Ab F# Bb D Eb / C# G Ab F# F# Bb D Eb / F# F# Bb D Eb / C# G Ab F#, serie che viene suonata all’unisono dal pianoforte e dal contrabbasso mentre la batteria improvvisa e, come le lettere che si ripetono creano corrispondenze fonetiche nel verso, così le note che, derivando dalle stesse lettere, a loro volta si ripetono, creano una struttura musicale che ripropone, se vogliamo, la figura dell’allitterazione . Oppure, sempre nello stesso testo, il sintagma “Luce plurifonte”, giudicato durante l’analisi testuale che precede la composizione musicale un sintagma di particolare rilievo nel procedere del testo, diventa la serie C A Eb F E C A F# A F# Eb D Ab F che viene riproposta come accompagnamento dal contrabbasso, mentre il pianoforte, tenendo conto delle stesse note, e la batteria improvvisano.

Questi sono solo due degli innumerevoli esempi di cui potrei scrivere che hanno condotto il trio formato da me, Mirco Ballabene, al contrabbasso, da Stefano Battaglia, uno dei più importanti pianisti contemporanei della scena internazionale, per quanto riguarda la musica improvvisata, che non ha certo bisogno di presentazioni e da Massimiliano Furia, batterista che sta già facendo parlare di sé in Italia e non solo, alla realizzazione di questo progetto che ha l’ambizioso fine di trattare la poesia non come mera suggestione perlopiù legata al piano semantico, come spesso capita, ma come corpo sonoro e vibrante, esso stesso creatore di musica.

In definitiva, se il titolo sotto il quale possiamo racchiudere questa serie di brani è, ovviamente, “La beltà”, il titolo del progetto è “Oltranza oltraggio”, componimento con cui si apre la raccolta stessa, perché la musica che realizziamo cerca di andare oltre , di farsi più in là9, in tensione perpetua e irrealizzata verso quell’oltraggio di dantesca memoria10 alla ricerca di un Altrove irraggiungibile.

Mirco Ballabene

Curriculum


Mirco Ballabene, fin da giovanissimo, intraprende lo studio della musica suonando pianoforte e basso elettrico, per approdare definitivamente al contrabbasso. Nel 2010 si diploma in contrabbasso classico presso il Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro. Nel 2011 pubblica un disco, “Vìreo”, affiancato dai giovani musicisti Fabio Mina e Danilo Rinaldi, in collaborazione con Markus Stockhausen, per l’etichetta tedesca Aktivraum. Nel corso del 2014 approfondisce lo studio delle tecniche improvvisative con Silvia Bolognesi. Nel febbraio 2015 pubblica un secondo disco, “Triologos – Tracce di canti”, con i musicisti Paolo Cerboni Bajardi e Bruno Cerboni Bajardi, per la Slam Productions, prestigiosa etichetta inglese fondata da George Haslam, disco che verrà anche presentato nella trasmissione “Piazza Verdi” in onda su RadioRaiTre. Sempre nel 2015 partecipa al progetto “Anthony Braxton’s Sonic Genome” nell’ambito del Torino Jazz Festival, performance musicale della durata di otto ore guidata dallo stesso Braxton affiancato dai suoi collaboratori (Taylor Ho Bynum, Jame Fei, Nate Wooley e Mary Halvorson tra gli altri), e inizia il Laboratorio permanente di ricerca musicale con Stefano Battaglia presso la Fondazione Siena Jazz che conclude due anni dopo con la registrazione di un disco con lo stesso pianista e Massimiliano Furia alla batteria, disco di imminente pubblicazione. A settembre pubblica il disco “Strade”, affiancato da Giovanni Ferri al sax alto e da Mirco Bindelli alla batteria, di nuovo per SLAM Productions. Nel 2017 partecipa al progetto della Fonterossa Orchestra, diretta da Silvia Bolognesi, ensemble con il quale si esibisce al Fonterossa Day nell’ambito di Pisa Jazz. Nel frattempo inizia a collaborare con l’associazione Urbino Jazz Club e con Lorenzo Binotti organizza il Laboratorio di Improvvisazione e Musica Sperimentale (LIMS), nell’ambito del quale tiene laboratori di improvvisazione e Conduction. In ambito letterario, dopo essersi laureato nel 2005 Il in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Urbino con una tesi dal titolo “L’età dell’ansia della poesia. Eugenio Montale e T.S.Eliot”, relatore il Prof. Gualtiero De Santi, viene nominato cultore della materia nell’ambito dell’insegnamento di Letteratura Italiana dal Consiglio di Facoltà di Lingue e Letterature straniere; durante gli anni accademici 2005/2006, 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009 svolge l’attività di lettorato di lingua italiana nell’ambito del corso di laurea di Lingue e Civiltà Orientali dell’Università di Urbino, presso la sede distaccata di Pesaro, periodo durante il quale approfondisce ulteriormente lo studio della metrica e della lingua italiana, e l’approccio didattico all’analisi del testo poetico. Nel corso degli anni, collaborando col prof. Gualtiero De Santi, pubblica diversi saggi che spaziano dalla letteratura al cinema, tra gli altri:

1 cfr . Zanzotto Andrea, Eterna riabilitazione da un trauma di cui s’ignora la natura, Edizioni Nottetempo, Roma, 2007

2 Agosti Stefano, Una lunga complicità, il Saggiatore, Milano, 2015, p. 17

3 cfr. Agosti Stefano, Una lunga complicità, op. cit., p. 25

4 “Zanzotto affronta, operativamente, l’eliminazione di ogni ipotesi o possibilità di scrittura”, ibidem, p. 23

5 Agosti Stefano, Una lunga complicità, op. cit, p. 22

6 ibidem, p. 22

7 ibidem, p. 22

8 ibidem, p. 23

9 cfr. Zanzotto Andrea, Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2011, p. 233

10 “Oltranza oltraggio: nel senso di “cosa che va oltre il limite, la sopportazione” (“e cede la memoria a tanto oltraggio”, cfr. Paradiso, XXXIII, 57)”, ibidem, p. 315