Stratten

Stratten
“Bologna ’67 ’77 “
(poesie da cantare e da imparare)
 da Novembre 2012 in CD, Vinile e digital download da New Model Label, distribuzione Audioglobe

Un concept album, il racconto di un ragazzo cresciuto a Bologna in quegli anni caldi, difficili ma allo stesso tempo ricchi di stimoli e sicuramente irripetibili. Non un’operazione nostalgia, non sentirete quindi i nastri di Radio Alice, ma diversi frammenti in cui si fondono le suggestioni della politica, la musica, prima e sopra tutto, le scoperte, le suggestioni dei media, la tecnologia e molto altro. Il percorso musicale attraversa gli stili del periodo, rock, blues, progressive e jazz, strumenti elettrici ed acustici, la ricerca nell’unione tra poesia e musica, senza però cadere nella semplice recitazione e senza voler rinunciare al gusto per la melodia e per ritornelli anche pop. Autore delle liriche è Vincenzo Bagnoli, poeta autore di diversi libri e tra i fondatori della rivista di poesia “Versodove”, mentre le musiche sono state scritte da Nicola Bagnoli, musicista e compositore attivo da anni, soprattutto nell’ambito delle colonne sonore, e da Alessandra Reggiani, cantante, che interpreta tutti i brani dell’album.

Link: http://stratten.weebly.com/index.html   – www.newmodellabel.com/stratten/

Contatti: Per richiesta materiale, interviste, presentazioni: Govind Khurana – New Model Label – govindnml@gmail.com

“Bologna ’67 ’77” – il racconto traccia per traccia

Corteo
Questa è l’apertura e presentazione del concept. Vincenzo, il poeta, si misura con se stesso la poesia, mescolanza tra finzione e capacità di mettere a nudo i propri pensieri più intimi. Infatti nel videoclip il poeta è perseguitato dai propri demoni e dalla maschera che lo costringono a portare.
L’ordine delle cose
Essere bambini a Bologna nei primi anni ’70. Le nenie infantili, il rumore di fondo della città e i giocattoli riemergono in maniera caotica e non sempre piacevole. A segnare la fine di un periodo (l’infanzia di un bambino e gli anni d’oro di una città) appare “la sigla del Gameover” dei primi videogiochi.
Strade
La città è fatta di strade e di case. Con la modernità arrivano le tangenziali, il traffico, i parcheggi e gli ingorghi che cambieranno per sempre la vita e la convivenza cittadina. I poeti, come i viaggiatori, non si orientano più guardando il cielo ma le mappe stradali.
Lotta di classe
Le mattine continuano ad avere il medesimo colore, lo stesso che hanno sempre le poesie sui libri di scuola; ma dove altro trovarne di diverse, che abbiano altri toni, lasciate da parte ormai le filastrocche? Appaiono a tratti in quelle canzoni che continui ad ascoltare perché sembra che parlino di te; le scrivi sui diari, insieme ad alcuni dei versi che trovi nelle antologie, come una guida pratica per orizzontarti.
Violetta
Devi parlare per orizzontarti e trovare il tuo posto fra le donne e gli uomini che vivono nei grandi deserti delle strade suburbane, nello spettacolo degli alti palazzi e delle centinaia di finestre illuminate attraverso la città: una comunità silenziosa e distante (ben diversa da quelle sussurranti e contigue dei libri e delle canzoni). Deve esserci una poesia per la forza che senti nel paesaggio della moderna edilizia popolare, nelle scuole, nelle case, nelle palestre dove si cresce insieme, che abbia i toni dell’urgenza e della coerenza, la «pronuncia del mondo», la sostanza del tuo tempo e del qui.
Moonlight ’69
Verrà poi il tempo in cui si dimenticheranno le ore trascorse, i sogni e i pensieri, i dischi comprati e rivenduti, la TV dei ragazzi alle cinque e gli sceneggiati della sera. Tra i ricordi della sera e le previsioni sul futuro non resta che guardare il sole di novembre che cade sui muri di altre case.
Lune assassine
All’inizio c’è la luce pallida di un cielo velato, lattiginoso, bianco opalino. E poi il buio. Ci sono quindi i profili di un paesaggio, da una parte le colline, dall’altro una distesa di tetti fino all’orizzonte. La luce dell’inverno appiattisce tutti i colori nel grigiore della bassa, o è uno scherzo della memoria che riversa i ricordi più lontani su una pellicola antiquata? E la luce, nel ricordo, è sempre quella di orizzonti velati di foschia, del pomeriggio declinante, dominata dal grigiore invernale della città «fosca turrita» o dalle tonalità del rosso. La poesia è solo il battito delle ciglia che spezza le iridescenze di colori e sfumature in semplici sequenze di ombre e luci.
Deep sky
Tra i programmi della TV ce ne era uno particolare, diverso da tutti gli altri. Fantascientifico, psichedelico, avventuroso, introspettivo: The Prisoner. Tutti gli episodi cominciavano con il dialogo tra i due protagonisti, il numero 2 e il numero 6 che concludeva invocando la propria libertà. “Non sono un numero!”
Disegni del cielo
Ci sono anni duri e crudi: la città non è più solo città sognata e ci sono cicatrici, macerie (quelle che l’«angelo della storia» guarda) che segnano per sempre una topografia concreta, inamovibile, non più sospesa e fluttuante. La nebbia scesa accanto ai muri rossi come una fredda barriera, una transenna di metallo, non sale più, e accanto a quella impari ad ascoltare il dolore da altre voci, nelle canzoni: quelle cantate dalla gente che protesta e quelle che invece parlano proprio a te, ti sembra. Nell’assedio del no future, tra minaccia nucleare e catastrofe ambientale, tra le menzogne di una storia scritta al di sopra e le bugie del consumo come unica consolazione, hai la stessa sensazione di un’intera generazione: cresciuta con la televisione, espropriata del passato e condannata a vite di plastica, accantonata dentro ai casamenti e tra le mura dei monolocali nell’esilio penitente dei quartieri dormitorio, sepolta nell’architettura del grigio, nella solitudine popolare dell’alveare, negli scorci spenti sempre uguali, nei prismi di antracite, nel deserto dei muri definiti dal buio e accesi invano di piccole luci.

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